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Cicloturismo

Anello Valtenesi Gavardina

Cicloturismo

Anello Valtenesi Gavardina

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Quando

Tutto l’anno

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Lunghezza

65 km

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Dislivello

600 m

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Bicicletta

Gravel e MTB

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Tempo

2h 30m

L'ITINERARIO

Un percorso ad anello tra lago, colline e campagne

L’anello ciclabile Valtenesi–Gavardina è un itinerario adatto a chi ama pedalare nella natura, lontano dal traffico e immerso nei paesaggi più autentici del basso Garda e della Valtenesi. Si parte da Desenzano del Garda, uno dei centri più vivaci del lago, e ci si inoltra subito nell’entroterra collinare.

Tra uliveti e borghi storici

Si sale dolcemente verso Padenghe sul Garda, dove vale la pena fare una sosta al castello medievale con vista sul lago. Da qui si continua in direzione Soiano del Lago e Polpenazze, tra filari di viti e uliveti che disegnano un paesaggio armonioso e rilassante. I borghi, ben conservati e ricchi di fascino, offrono spunti per piccole pause, fontane e scorci da cartolina.

Il cuore della Valtenesi

Dopo Polpenazze, la strada continua verso Salò, lambendo le colline e offrendo panorami suggestivi. Da qui inizia un tratto in discesa fino a Roè Volciano, dove il percorso cambia volto: si entra nella parte più verde e ombreggiata dell’anello, costeggiando il fiume Chiese e il Naviglio in un ambiente fresco e rigenerante.

Lungo la Gavardina

Da Villanuova sul Clisi si imbocca l’antica ciclabile della Gavardina, un tracciato pianeggiante e protetto che segue il corso dell’acqua fino a Gavardo, per poi proseguire attraverso i paesaggi agricoli di Prevalle, Nuvolera, Mazzano e Rezzato. Un tratto perfetto per rilassarsi e pedalare in tranquillità, circondati dal verde.

Il ritorno verso il lago

Raggiunto Molinetto di Mazzano, si comincia a piegare verso sud, attraversando campi e strade secondarie fino a chiudere l’anello rientrando a Desenzano. La parte finale è meno collinare, ma offre ancora scorci rurali e piccole perle poco conosciute del territorio.

Informazioni utili

Segnaletica: alcune sezioni non sono ben segnalate: consigliato usare una traccia GPS
Punti ristoro: presenti nei principali borghi (Padenghe, Soiano, Salò, Gavardo)
Attenzione: alcuni brevi tratti sterrati o sconnessi richiedono attenzione; meglio evitare ruote troppo strette

COSA VEDERE

LUNGO IL PERCORSO

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Il castello di padenghe
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Il Naviglio Bresciano
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Salò

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Trekking

Monte Pizzocolo

MONTAGNA

Monte Pizzocolo

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Quando

Tutto l’anno, sconsigliati i giorni più caldi

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Lunghezza

16 km

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Dislivello

900 m

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Difficoltà

Medio

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Tempo

4h 30m

L'ITINERARIO

AVVICINAMENTO

Partendo da Maderno, lungo la Gardesana Occidentale, si imbocca la strada in salita verso la frazione di Sanico. Da qui si prosegue lungo una stradina stretta e ripida che conduce alla località Case di Ortello, situata a 760 metri di altitudine. Si continua quindi fino a raggiungere l’incrocio con la strada campestre contrassegnata dal segnavia n.11, dove è possibile lasciare l’auto.

Qui trovate il pulsante per raggiungere la partenza direttamente con il navigatore.

Il Lago di Garda occidentale, visto mentre si sale al Pizzocolo

Il sentiero

Dal parcheggio si imbocca la carrareccia segnata con il numero 6, che conduce verso sinistra fino alla chiesetta di San Urbano (872 m). Poco oltre, si incontra un bivio con il sentiero 23. Seguendo quest’ultimo, si guadagna quota sopra la chiesetta, arrivando alla località Ca da Prada (1117 m), dove si trova un bivacco semplice ma sempre accessibile.

Salendo ancora, il sentiero raggiunge il crinale del Doss delle Prade: la vegetazione si dirada gradualmente e il tracciato piega a destra, seguendo la cresta. Si supera una cascina e si incrocia una vecchia mulattiera militare segnata dal numero 5, che arriva dal Passo di Spino.

Si prosegue lungo la mulattiera, seguendo l’andamento naturale del versante, fino a raggiungere, intorno ai 1469 metri, un bivio con il sentiero 11, che sarà utilizzato per il rientro. Continuando sul sentiero 5, si attraversa il fianco sud del monte fino al Bivacco Due Aceri (1562 m). Da lì, in breve tempo si raggiunge la cima del Monte Pizzocolo, dove si trovano una croce e una piccola chiesetta in memoria dei caduti in guerra e in montagna. Il tempo complessivo dal parcheggio alla vetta è di circa 2 ore e 30 minuti.

Per il ritorno, si scende fino al bivacco e si imbocca il sentiero 11 sulla sinistra. Si passa accanto alla malga Valle (1331 m), poi ci si inoltra nel bosco fitto della Valle della Prera, perdendo progressivamente quota. A circa 1050 metri di altitudine, si raggiunge una stradina nei pressi di alcune case disabitate. Seguendo in discesa questa strada, in parte asfaltata, si rientra al punto di partenza. Il tempo stimato dalla vetta al parcheggio è di circa 2 ore.

Difficoltà

Il percorso non presenta difficoltà tecniche particolari: i sentieri sono ben segnalati e privi di passaggi esposti o pericolosi. Tuttavia, il dislivello complessivo e la distanza richiedono un buon allenamento fisico e una certa abitudine alle escursioni in montagna. L’itinerario è adatto anche alla mountain bike, purché si disponga di una buona preparazione e si sia pronti ad affrontare tratti ripidi e alcuni fondi sconnessi.

percorso

e punti panoramici

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Vista sul Lago
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Il paesaggio dal Pizzoccolo
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La vetta

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Monumenti e Piazze

Chiesa di San Cristo

Brescia

Chiesa di San Cristo

Dove si trova

La Chiesa di San Cristo si trova in via Piamarta 9, una traversa di Via Musei tra Santa Giulia e il Teatro Romano

Qui trovate il pulsante per raggiungerlo direttamente con il navigatore.

L'interno della Chiesa di San Cristo a Brescia

LA CAPPELLA SISTINA DI BRESCIA

La Chiesa del Santissimo Corpo di Cristo, chiamata comunemente Chiesa di San Cristo, si distingue per la tranquillità suggerita dalla sua posizione (sulla salita che da via Musei conduce al Castello) e l’elegante scalinata che conduce alla facciata sobria dell’edificio.
Costruita nella seconda metà del Quattrocento, fa parte di un vasto monastero e comprendente tre chiostri.

E’ solo varcando il portone d’ingresso che ci si rende conto della straordinaria bellezza che la caratterizza: gli affreschi che adornano l’interno conferiscono al luogo un’atmosfera di pura emozione, tanto da meritare l’appellativo di ‘Cappella Sistina di Brescia‘ per la loro pregevolezza e ricchezza artistica, che ricordano il capolavoro di Michelangelo.

Chiesa e monastero sono oggi gestiti dai Padri Saveriani.

Storia

Nella seconda metà del Quattrocento, i Gesuati fondarono la chiesa e il monastero che avrebbero caratterizzato il panorama spirituale di Brescia. In questo periodo infatti si vide  un’espansione significativa dell’ordine, con la fondazione di numerosi conventi in tutta Italia, tra cui Milano, Roma, Livorno, Piacenza, Cremona e ovviamente Brescia stessa. 

La data di inizio dei lavori può essere collocata nel 1467, grazie alla generosa donazione di terreni da parte della prestigiosa famiglia Martinengo, una delle più importanti della città.

La decisione di orientare la chiesa lungo l’asse nord-sud, in contrasto con la tradizione che preferiva l’asse est-ovest, fu determinata principalmente da ragioni pratiche. Il terreno sul quale sorse la struttura, situato sul pendio del Colle Cidneo, rendeva difficile l’avvio di un cantiere secondo la disposizione tradizionale. Anche seguendo l’asse nord-sud, fu necessario sbancare parzialmente il colle, e nonostante ciò, il pavimento dell’abside risultò situato a tre metri al di sotto del livello del suolo esterno. Inoltre  la scelta dell’orientamento seguiva anche motivazioni prospettiche perche la direttrice da  Via Piamarta e Via Veronica Gambara, permetteva la vista della facciata della chiesa anche dall’’incrocio con Via Tosio Martinengo, alla distanza considerevole di quattrocento metri.

La chiesa fu consacrata nel 1501 e divenne chiesa gentilizia e luogo di sepoltura della famiglia Martinengo. Nonostante avesse già preso forma, la chiesa era ancora coperta da un tetto a capriate con travi a vista.

Nel 1565 , grazie a Fra Benedetto da Marone, pittore dei Gesuati, si cominciano a realizzare grandi cambiamenti all’interno della chiesa in vista di un nuovo progetto iconografico. Le capriate a vista del soffitto vengono coperte con una volta a costoloni e il tutto, assieme alle pareti, al presbiterio e all’abside, viene ricoperto con un vasto ciclo di affreschi.  Il  tema dominante é quello della salvezza che si attua attraverso il Corpo e il Sangue di Cristo, tema particolarmente sentito dalla spiritualità dei Gesuati. 

Anche il Romanino contribuisce alla decorazione della chiesa, realizzando un polittico per l’altare maggiore, andato perduto , e un affresco dell’Ultima Cena nel refettorio del monastero.

Nella prima metà del Cinquecento viene anche realizzato il grande Mausoleo Martinengo che fu allora collocato sulla parete sinistra della navata e che invece oggi è oggi conservato nel coro delle monache del Museo di Santa Giulia.

Nel  Seicento, per l’aumento delle vocazioni e la maggiore richiesta di celebrazioni fu affidato a Pietro Maria Bagnadore, architetto e pittore manierista, autore di numerose e importanti opere nel panorama cittadino, un grande progetto di ampliamento della  chiesa cui furono aggiunte le tre grandi cappelle sul lato est, decorate  con tele da lui stesso dipinte. 

L’ordine dei Gesuati venne  soppresso, con bolla di Papa Clemente IX il 7 dicembre 1668, lasciando il monastero privo di amministrazione. Il 7 giugno 1669,  sei mesi dopo la soppressione dei Gesuati, il complesso viene occupato dall’Ordine dei Frati Minori francescani che lo avevano acquistato dalla Repubblica di Venezia.

I Francescani restano fino al 1810 quando, in seguito alle soppressioni napoleoniche, l’ordine viene abolito e il convento sequestrato, trasformandosi in proprietà demaniale. Il complesso continuó ad ospitare i  religiosi che non avevano più familiari disposti ad accoglierli dopo la secolarizzazione dei conventi, l’ultimo dei quali fu Padre Arcangelo, ucciso per errore da un soldato croato durante le Dieci Giornate di Brescia nel 1859. La chiesa, invece, non fu mai secolarizzata poiché vi operavano due sacerdoti nominati direttamente dal vescovo.

Dopo la fine delle guerre napoleoniche, il governo austriaco cede il complesso al vescovo Gabrio Maria Nava. Quest’ultimo vi trasferisce parte del Seminario. Ma nel corso delle battaglie contro il dominio austriaco nella metà dell’Ottocento, il monastero viene occupato più volte dai soldati e  saccheggiato. La sua posizione strategica sul pendio del colle lo rende vulnerabile ai bombardamenti, rischiando danni durante i conflitti. Dopo la battaglia di San Martino e il grande afflusso di feriti, la chiesa del Santissimo Corpo di Cristo, come molte altre in città, viene trasformata in ospedale. Nel 1870, monsignor Pietro Capretti sposta l’Ospizio dei chierici poveri, precedentemente situato nell’attuale Corso Matteotti, al monastero di San Cristo.

Il monastero  viene ceduto ai Padri Saveriani nel 1957 mentre la chiesa è data loro in uso perpetuo, conservandone il Seminario la proprietà. 

Uno dei tre chiostri della chiesa di San Cristo

ESTERNO

La Chiesa del Santissimo Corpo di Cristo è una rarità cittadina, conservando quasi integralmente il suo aspetto originale sia esternamente che internamente. A differenza di molte altre chiese, non ha subito interventi di restauro radicale, mantenendo intatta la sua struttura, compresi gli affreschi rinascimentali e la facciata, unica a Brescia per la sua chiarezza architettonica e autenticità.

La struttura è principalmente in pietra, ad eccezione della facciata e del campanile che sono in mattoni. Tuttavia, la facciata presenta un zoccolo in marmo di Botticino nella parte bassa, con blocchi in parte provenienti dalla Piazza del Foro. Inoltre, nell’angolo destro della facciata, sono stati utilizzati come elementi di recupero delle formelle ottagonali del Capitolium, precedentemente adibite alla decorazione del soffitto della cella centrale del tempio (si tratta delle uniche formelle dei soffitti dell’antico Capitolium giunte fino a noi in blocchi così ben conservati e leggibili).

Il resto della facciata è costituito interamente da mattoni e presenta una cornice decorativa di archetti gotici polilobati in maiolica verde e gialla, risalente alla seconda metà del Quattrocento. Simili archetti decorativi corrono lungo i fianchi e l’abside, ma sono realizzati solo in cotto e non smaltati né colorati. Sopra il portale principale spicca un rosone circolare incorniciato da blocchi di marmo di Botticino e pietra grigia di Sarnico.

La facciata termina con una cornice in maiolica e tre pinnacoli in cotto. Il primo pinnacolo a sinistra ha perso la parte superiore originale, sostituita in seguito da travetti in ferro a ricordo della forma originaria. Sul lato libero della chiesa si trovano le tre cappelle aggiunte nel Seicento dal Bagnadore, di cui quella centrale con una cupola e lanterna. 

Procedendo verso l’abside, si notano le alte monofore originali del Quattrocento, alcune ancora aperte, ornate nella parte superiore da una cornice ad archetti polilobati in cotto. 

L’abside finale della chiesa ha una forma poligonale, sostenuta da spessi contrafforti sugli spigoli, continuamente seguiti dalla cornice di coronamento. Il campanile è composto per metà da pietra fino al tetto della chiesa, mentre il resto è in mattoni. La cella campanaria, realizzata in laterizio, è stata ricostruita in epoche successive e appare ben conservata grazie ai recenti restauri.

L'interno della Chiesa di San Cristo

Interno

L’interno della chiesa conserva un suggestivo aspetto gotico, con una navata unica di notevole altezza e ampiezza. Sullo sfondo, si erge uno spesso arco santo che incornicia il presbiterio, il quale si conclude con un’abside semicircolare.

Una caratteristica insolita è l’endonartece, un portico interno che sostiene la cantoria e l’organo, situato sulla parete opposta al portale d’ingresso. La copertura della navata è costituita da una volta a crociera continua, realizzata nel 1565 da Fra Benedetto da Marone, mentre il presbiterio e l’abside sono coperti da una volta a ombrello originariamente costruita alla fine del Quattrocento.

Nel lato destro della chiesa si aprono tre cappelle aggiunte da Pietro Maria Bagnadore nel Seicento, parzialmente nascoste da tendaggi. Al centro del fianco sinistro si nota uno spazio quadrato privo di affreschi, lasciato libero per il trasferimento del Mausoleo Martinengo nel 1883.

Sul lato destro, tra la seconda e la terza cappella, si trova il sepolcro di Pietro Capretti, trasferito qui nel 1934, mentre dietro al monumento si può ammirare il motivo a finto mattone che decorava la chiesa alla fine dell’Ottocento, ora conservato solo in questo punto dopo i lavori di recupero degli affreschi sottostanti.

L'organo dell'Antenati presente a San Cristo

L’ORGANO 

L’organo, installato nella cantoria sopra l’endonartece, è stato realizzato nel 1888 dalla ditta Inzoli di Crema. Questo organo fu preso in sostituzione di quello più antico, opera dell’Antegnati, venduto nel 1871 da Pietro Capretti per coprire in parte le spese di sistemazione del convento.

L’organo ha uno stile neogotico con pinnacoli, cornici e archetti polilobati, in sintonia con l’architettura esterna della chiesa. Le oltre mille canne si avvolgono intorno al rosone centrale, incorporandolo nella struttura dell’organo. La consolle comprende due tastiere da 56 tasti ciascuna, una pedaliera retta con 27 pedali e tiranti per i registri posizionati ai lati del leggio.

 

Il magnifico soffitto dipinto da Fra Benedetto da Marone

IL CICLO DI FRA BENEDETTO DA MARONE

Fra’ Benedetto da Marone, membro dell’ordine dei Gesuati, fu incaricato nel 1565 di ristrutturare l’interno della chiesa del Santissimo Corpo di Cristo. Decise di sostituire il vecchio tetto in legno a vista con una complessa volta a fitti costoloni e di decorare l’intero interno con affreschi. Sebbene fosse un periodo in cui si preferivano volte più moderne, Benedetto scelse di adottare motivi di carattere gotico, forse per rispettare la tradizione locale e per omaggiare le opere di Michelangelo, tra cui la Cappella Sistina a Roma.

Nel ciclo di affreschi, Benedetto si ispirò principalmente agli affreschi di Michelangelo, posizionando i dodici Apostoli nelle dodici losanghe laterali formate dai costoloni e raffigurando il Giudizio Universale sull’arco santo. Il tema centrale era Cristo Giudice sulle nubi, circondato dalla Vergine e da San Giovanni Battista. Il Giudizio Universale seguiva la canonica rappresentazione: i benedetti venivano portati in cielo dagli angeli sul lato sinistro, mentre i dannati erano spinti in basso dai demoni armati di tridenti sul lato destro.

Sulla volta, oltre agli Apostoli, ogni figura era accompagnata da un angelo recante il Libro della Parola di Dio, simboleggiando l’annuncio evangelico. Benedetto riportò i dodici Apostoli con le loro caratteristiche distintive, come le chiavi per San Pietro e la croce per San Andrea. Al centro dei dodici, nella losanga principale, campeggiava il trigramma di Cristo JHS su uno sfondo dorato con angeli. 

L’ultima losanga centrale e le due mezze successive, recano traccia di come la volta fu ridipinta alla fine dell’Ottocento per rimediare al degrado degli affreschi cinquecenteschi: a stelle dorate su fondo blu. Il frammento è stato lasciato intatto dai restauratori che hanno recuperato le pitture sottostanti nella seconda metà del Novecento, in rispetto della stratigrafia.

L'ingresso del Monastero di San Cristo

IL MONASTERO

 Il monastero adiacente alla chiesa comprende tre chiostri: uno piccolo sulla sinistra della facciata e due più grandi affiancati sempre sulla sinistra, completati dalle relative gallerie interne. Oltre al primo chiostro d’ingresso, c’è un ampio cortile utilizzato come parcheggio, con due edifici più recenti ma ancora parte del complesso. Il monastero si trova tra Via Piamarta e le mura interne del Castello di Brescia, con il cortile che si affaccia direttamente sul teatro romano, sebbene sia parzialmente nascosto da una fitta area alberata.

Il refettorio con l'Ultima Cena, dipinta dal Romanino

IL REFETTORIO E GLI AFFRESCHI DEL ROMANINO

Il refettorio del convento, dopo essere stato restaurato dai Padri Saveriani, è stato trasformato in un auditorium con una capienza di cento posti.
All’interno di questo spazio, si trova un’opera straordinaria: l’Ultima Cena dipinta dal maestro Romanino nel 1530. Questa rappresentazione iconica cattura il momento cruciale in cui Gesù annuncia il tradimento imminente, mentre gli Apostoli reagiscono in gruppi di tre, discutendo vivacemente.

Il Romanino, pur mantenendo il tema canonico di Leonardo da Vinci, imprime alla sua interpretazione una forte dose di indipendenza artistica. La sua preferenza per la naturalezza e l’equilibrio classico emerge chiaramente nell’opera. Osservando l’Ultima Cena, si può notare la cura meticolosa dei dettagli: la tovaglia è perfettamente disposta, e gli eleganti bicchieri e bottiglie per l’acqua e il vino aggiungono un tocco di raffinatezza all’ambiente.

Il talento del Romanino non si esaurisce nell’opera principale. Gli affreschi dei Profeti, che adornano gli archi laterali del refettorio, sono un’altra testimonianza del suo genio artistico. Purtroppo, questi affreschi hanno subito danni a causa dell’umidità, ma anche nella loro condizione attuale, trasmettono la potenza espressiva e la maestria tecnica del Romanino.

Curiosità

Il nome popolarmente diffuso della chiesa, cioè San Cristo, presenta in realtà un errore: la chiesa infatti non è dedicata a Cristo come persona, bensì al suo Santo Corpo e quindi all’eucaristia. L’unica denominazione corretta, quindi, resta quella ufficiale: Santissimo Corpo di Cristo.

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Orario

Da Lunedì a Domenica dalle 8 alle 20

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Costo

Gratuito

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Animali parzialmente ammessi

Animali ammessi nei chiostri

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Luoghi DI BRESCIA

Uno dei capolavori dell'architettura religiosa italiana, ricco di storia arte e cultura.
Un gioiello di chiesa, mescolanza di epoche e stili nel centro storico di Brescia
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Monumenti e Piazze

La Vittoria Alata

Brescia

La Vittoria Alata

Dove si trova

La Statua della Vittoria Alata si trova all’interno del Parco archeologico di Brescia romana Capitolium, in Via Musei

Qui trovate il pulsante per raggiungerlo direttamente con il navigatore.

La Vittoria Alata nella sua nuova collocazione al Capitolium

Simbolo di Brescia

La statua in bronzo della Vittoria Alata è il simbolo della città di Brescia. Fu cantata da Giosuè Carducci che la celebrò nell’ode Alla Vittoria, scritta per ricordare le imprese della città di Brescia durante l’insurrezione delle Dieci Giornate contro l’oppressione austriaca avvenuta tra il 23 marzo e il 1° aprile 1849. Fu ammirata anche da Gabriele d’Annunzio e da Napoleone III che ne vollero una copia. 

La Vittoria Alata è una delle opere più importanti della romanità per composizione, materiale e conservazione, e uno dei pochi bronzi romani proveniente da scavo giunti fino a noi.

Descrizione

La statua rappresenta una figura femminile di 191 cm di altezza realizzata in bronzo tramite la tecnica di fusione a cera persa.

La Vittoria Alata, la cui figura è volta leggermente verso sinistra indossa una tunica fermata sulla spalla (kiton) e un mantello (himation) che le avvolge le gambe.

La gamba sinistra lievemente sollevata, presumibilmente appoggiata sull’elmo di Marte. Sul capo è posta un’agemina d’argento e rame a cingerne i capelli.  

In seguito furono aggiunte le ali per trasformare l’opera nella dea Victoria, simile a opere presenti nei fori imperiali di Roma e Costantinopoli.

La Vittoria alata ammirata da D'Annunzio e Napoleone III

Storia

Inizialmente considerata di origine ellenistica, la Vittoria Alata fu successivamente riconosciuta come un pastiche romano ossia un’opera che deliberatamente imita lo stile di altri artisti.

Pprobabilmente realizzata dopo il 69 d.C., si ispirava a un originale presumibilmente creato a Rodi o ad Alessandria d’Egitto intorno al 250 a.C. Rappresentava un’immagine di Afrodite che si specchiava nello scudo di Ares, mantenendo una posa tipica dell’Afrodite Urania del “tipo Cirene”. Dettagli come la torsione del busto e la posizione delle braccia erano mutuati da opere greche del V-VI secolo a.C. 

Fu rinvenuta la sera del 20 luglio 1826, dopo essere stata nascosta per secoli nell’intercapedine occidentale del Capitolium tra il tempio e il Cidneo. Questo nascondiglio ha protetto l’opera, insieme ad altri pezzi bronzei, tra cui la famosa serie di ritratti, dalle incursioni delle popolazioni barbariche, come i Goti e gli Unni, che avrebbero potuto fondere il bronzo per fabbricare armi durante le loro invasioni e ne spiega il notevole stato di conservazione.

Durante la prima guerra mondiale, il governo italiano decise di trasferire l’opera a Roma per preservarla dalle possibili devastazioni del conflitto (decisione presa anche per molte altre opere d’arte e culturali, furono portate a Roma, lontano dalle linee del fronte, come misura precauzionale).

Al la fine del conflitto, il senatore Pompeo Gherard fu incaricato di assicurare il ritorno delle opere d’arte alle rispettive sedi d’origine e supervisionò personalmente il trasporto e il rientro della Vittoria Alata a Brescia, avvenuto con una cerimonia solenne nel mese di aprile del 1920. Questo evento ha segnato il ritorno trionfante dell’opera nella sua città d’origine, dove continua a essere un simbolo di orgoglio e identità per la comunità bresciana.

 
 

Il volto della Vittoria

Varie ipotesi sulla Vittoria Alata

La prima ipotesi riguardante la statua  suggerisce che potrebbe essere stata trasportata a Roma per volere di Augusto dopo la morte di Cleopatra nel 29 a.C. e successivamente donata a Brixia come atto di benevolenza politica, forse in concomitanza con il conferimento del titolo di Colonia Augusta alla città. 

Si ipotizza che la statua sia stata poi trasformata in Nike dopo la seconda battaglia di Bedriaco, segnando così l’affermazione di Marco Antonio Primo su Vitellio.

Successivamente però, ulteriori indagini eseguite mediante spettrofotometria XRF hanno rivelato la mancanza di significative difformità tra le ali e il corpo della statua, suggerendo che l’opera sia nata da un unico processo costruttivo anziché essere stata modificata successivamente.

La scultura è stata oggetto di analisi e studio interdisciplinare e nel luglio 2018 è iniziato il restauro affidato all’Opificio delle Pietre dure coadiuvato da incaricati  dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dopo il restauro, conclusosi nel 2020, per la statua della Vittoria Alata è stata realizzata una nuova struttura nel Capitolium, progettata da Juan Navarro Baldeweg, e dotata anche di un nuovo basamento antisismico.

 

Vittoria nel suo nuovo spazio progettato dall'archiatra Baldeweg

Curiosità

La statua della Vittoria Alata reggeva uno scudo, andato perduto, su cui erano probabilmente incise le gesta di un illustre personaggio oppure la celebrazione di qualche vittoria.

Dopo il ritrovamento l’entusiasmo a Brescia era tale che la statua fu fatta sfilare, accompagnata dalla banda, fino al convento di San Domenico, considerato il centro della cultura dell’epoca.

 
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Orario

Dal martedì alla domenica 10-18

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Costo

15 Euro (inclusa Santa Giulia)

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Animali non ammessi

Solo guide non vedenti

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Trekking

Lago della Vacca

MONTAGNA

LAGO DELLA VACCA

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Quando

Da Aprile a Novembre

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Dove

VAL CAMONICA

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Valutazione

9/10

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Difficoltà

Facile

L'ITINERARIO

AVVICINAMENTo 
Prendere la strada del Crocedomini da Breno o da Bagolino (in base al vostro punto di partenza). Lasciare l’auto al grande parcheggio in località Bazena di fronte al Rifugio Tassara e in coincidenza del cartello del Passo Crocedomini. Da qui inizia il sentiero a piedi che dai 1800 metri ci porterà ai 2350 del Lago della Vacca

Qui trovate il link per raggiungere il punto di partenza, per Mappe Apple o per Google Maps

SENTIERO

Dal Bazena si imbocca il sentiero n 1(ex 18). Il primo tratto del sentiero risulta abbastanza ripido e in breve dai 1800 ci portiamo oltre quota 2100. Da qui inizia un tratto più semplice che, continuando a salire, arriva fino al Passo di Valfredda (2328) dove e’ posizionata una croce in ferro con filo spinato. Dal passo si scende leggermente e si continua su un lungo falsopiano, che dolcemente  e tra panorami bellissimi, ci condurrà al Passo della Vacca (dove è presente il celebre masso a forma vagamente bovina che dà il nome anche al lago) e da lì in poco al rifugio Tita Secchi e al Lago sovrastati dal Cornone del Blumone- Lungo gran parte del percorso saremo accompagnati dai fischi e dalle sagome di tantissime marmotte.

Difficoltà

Il sentiero non presenta alcun tipo di difficoltà tecnica, ma tra andata e ritorno ci sono quasi 15 chilometri di strada da percorrere e oltre 800 metri di dislivello, pertanto è richiesta una discreta preparazione.

percorso

e punti panoramici

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Il Corno di Blumone che domina il lago
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Il masso a forma di vacca che da il nome al passo e al lago
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Sono numerose le marmotte sul sentiero

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IL VIDEO

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Trekking

Val Adamè

MONTAGNA

VAL ADAMÉ

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Quando

Da Giugno a Settembre

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Lunghezza

10 km

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Dislivello

510 m

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Difficoltà

Facile

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Tempo

3h 30m

L'ITINERARIO

AVVICINAMENTO

Prendere la SS42 della Val Camonica in direzione Edolo.  Prendere l’uscita per Cedegolo, attraversare l’abitato e prendere quindi la SP6 per Fresine. Arrivati all’abitato di Fresine proseguire in direzione Valle. Dopo qualche chilometro superiamo l’abitato di Valle e da qui la strada diventa più stretta e ripida, proseguire superando il ristorante La Rasega, il ristorante Stella Alpina fino a Malga Lincino, termine ultimo della strada. Qui potrete parcheggiare e iniziare la salita a piedi.

Qui trovate il link per raggiungere il punto di partenza, per Mappe Apple o per Google Maps

SENTIERO

Il tratto di sentiero che da Malga Lincino porta al Rifugio Città di Lissone è molto ripido, in meno di due chilometri ci porta dai 1600 metri di Malga Lincino ai 2000 del Lissone. Il sentiero e soprannominato “le scale dell’Adamè” per via della sua conformazione scavata nella roccia, come una sorta di scala naturale che affianca le rapide del Torrente Poia. Giunti al Lissone la strada diventa dolce e ci permetterà in un’ora di cammino di percorrere buona parte della Valle in un comodo falsopiano circondati da una natura incontaminata. La valle ha un caratteristico aspetto a U, creato dal ghiacciaio che fino a metà dell’800 qui vi risiedeva. 

Difficoltà

Le difficoltà tecniche sono davvero poche, prestare attenzione in discesa nel tratto ripido delle Scale dell’Adamè, ma il sentiero è tendenzialmente adatto a persone di qualsiasi età con un allenamento discreto.

percorso

e punti panoramici

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Il torrente poia
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Il corno dell'Adamè
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Il corno di Grevo

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IL VIDEO

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Monumenti e Piazze

Torre della Pallata

Brescia

TORRE DELLA PALLATA

La Torre della Pallata a Brescia

Dove si trova

Entrando in città da Piazza Garibaldi e percorrendo Corso Garibaldi, ci si trova di fronte la torre della Pallata, collocata all’incrocio tra Corso Mameli, Corso Garibaldi e via della Pace.

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La Torre della Pallata vista da Corso Mameli

La Torre della Pallata vista da Corso Mameli

Icona della città

La Torre della Pallata, un’icona della città e uno dei principali monumenti del periodo medievale, fu costruita  nel 1248, utilizzando i resti di edifici romani lungo le preesistenti mura medievali. La sua funzione era la difesa della porta di San Giovanni. 

Con i suoi imponenti 31 metri di altezza e una pianta quadrata di 10,6 metri, la torre ha svolto diverse funzioni nel corso dei secoli, tra cui deposito del tesoro comunale, magazzino annonario e prigione. 

La sua posizione strategica e la sua storia ricca di avvenimenti la rendono uno dei monumenti più affascinanti della città, testimone di epoche passate e delle trasformazioni urbanistiche avvenute nel corso dei secoli.

La Torre della Pallata da sotto

La Torre della Pallata da sotto

La torre

La torre della Pallata, nota anche come la Pallata, è un’imponente struttura medievale in mattoni alta circa 32 metri, situata nel centro storico di Brescia. Eretta nel 1254 nel quartiere bresciano di San Giovanni, presenta un basamento quadrato in pietra di Botticino e proteggeva la Porta di San Giovanni, un punto chiave della prima cinta muraria medievale di Brescia. È l’unica torre sopravvissuta di questa cinta muraria.

Durante il medioevo, la torre Pallata fu utilizzata anche come deposito per la cassa del Comune, testimoniato dal saccheggio del Tesoro del Monte di Pietà conservato al suo interno dopo l’assedio del 1311 di Enrico VII di Lussemburgo.

Nel XV secolo, furono aggiunti elementi ornamentali come un orologio nel 1461, merli in cotto e una torricella tra il 1476 e il 1481. Sul lato di corso Mameli è presente un bassorilievo raffigurante San Giovanni con il simbolo dell’aquila, mentre sul lato di via Pace si trova una scultura di San Apollonio vescovo. Sotto la cella campanaria si trova anche una piccola cappella.

Nella piazzetta adiacente, i banditori richiamavano i cittadini con le trombe per ascoltare le grida.

Origine del nome

Sull’’origine del nome esistono varie teorie. Probabilmente il nome Pallata deriva dal riferimento alla “palizzata” eretta come difesa oppure come fortificazione delle fondamenta in zone acquitrinose (in questo caso per contenere l’alveo del canale chiamato Dragone, che qui lambiva le antiche mura cittadine).   

Secondo un’altra teoria invece, nome “Pallata” potrebbe derivare dalla deformazione del nome Pallade, che si riferisce alla dea Atena, forse in relazione all’utilizzo di materiale di epoca romana per la sua costruzione.

La fontana della Torre della Pallata

le acque della Torre della Pallata

La fontana

La fontana su via Pace, realizzata nel 1596 da Antonio Carra su disegno di Pietro Maria Bagnatore, rappresenta Brescia sotto le sembianze di Pallade, dea della saggezza e della guerra nella mitologia greca. Pallade sovrasta e corona l’insieme, simboleggiando la ricchezza idrica del territorio bresciano.

Le due figure sdraiate possono essere interpretate come i fiumi Garza e Mella oppure come i laghi di Garda e Iseo, a seconda delle interpretazioni degli studiosi.

Orologio della Torre della Pallata

L'orologio della Torre della Pallata

Curiosità

Dalla Pallata partiva la corsa delle prostitute che si concludeva al ponte Mella nel quartiere S. Giacomo; una manifestazione abolita nel Quattrocento.

Un motto bresciano dice “El g’ha biìt l’aiva de la Palada” (ha bevuto l’acqua della Pallata) per indicare un bresciano autentico. La Pallata è infatti uno fra i monumenti più rappresentativi della città.

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Luoghi DI BRESCIA

La montagna dei bresciani per eccellenza, il Guglielmo, o Golem, il suo nome originario derivante dal mostro antico

Il laghetto alpino incastonato tra l’Adamello e Vezza d’Oglio

A 2200 metri, rappresenta la porta naturale del Parco Adamello e la più classica salita al ghiacciaio Pian di Neve

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Monumenti e Piazze

Torre dell’Orologio e Macc de le Ure

Brescia

TORRE DELL'OROLOGIO
E MACC DE LE URE

La TORRE E I MACC DE LE URE

UBICAZIONE

La Torre dell’Orologio con i suoi Macc de le Ure, un’iconica struttura nel cuore di Brescia, si erge maestosa nella suggestiva Piazza della Loggia, uno dei luoghi più vivaci e storici del centro città.

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La torre con l'orologio astronomico sovrastata da i macc de le ure

STORIA

Eretta tra il 1540 e il 1550 su progetto dell’architetto bresciano Lodovico Beretta, la Torre dell’Orologio ha una storia ricca di avvenimenti e trasformazioni. Uno dei momenti salienti della sua storia è il completamento del complesso orologio astronomico meccanico tra il 1544 e il 1546 da parte di Paolo Gennari da Rezzato. Questo strumento, che ha sostituito un precedente orologio dismesso nel 1543, è stato un punto di riferimento essenziale per la vita quotidiana e il tessuto sociale della città nel corso dei secoli.

Caratteristiche

La Torre dell’Orologio non è solo un monumento architettonico, ma un simbolo vivente della storia e della cultura di Brescia. Dotata di due quadranti, uno rivolto verso Piazza della Loggia e l’altro verso via Beccaria, l’orologio regola il ritmo della vita cittadina con precisione e maestria. La presenza di automi in rame, conosciuti come “Macc de le ure“, aggiunge un tocco di fascino e mistero a questa straordinaria struttura.

Il quadrante dell'orologio

Il quadrante

Uno degli elementi più affascinanti della Torre dell’Orologio di Brescia è il suo complesso quadrante, che rappresenta un capolavoro di ingegneria e design astronomico.

 

Precisione e Maestria: Il quadrante dell’orologio, realizzato nel 1547 da Gian Giacomo Lamberti, si distingue per la sua precisione e maestria tecnica. Ogni dettaglio è stato curato con scrupolosa attenzione per garantire un’esatta misurazione del tempo.

Sistema Orario “all’italiana”: Originariamente basato sul sistema orario “all’italiana“, il quadrante rifletteva le concezioni astronomiche dell’epoca, con le ore 24 che iniziavano al tramonto del Sole. Questo approccio non solo regolava il ritmo della vita quotidiana, ma anche il movimento celeste, con la lancia delle ore che riproduceva il percorso del Sole durante il giorno.

Riforma del 1786: Nonostante le sue radici antiche, il quadrante dell’orologio ha subito cambiamenti nel corso dei secoli. Con la riforma del 1786, l’orologio è stato regolato secondo l’ora “alla francese“, con le ore 24 fisse alla mezzanotte. Questo cambiamento ha reso l’indicazione del tempo più uniforme, ma ha comportato la perdita della correlazione simbolica con il movimento del Sole.

Interpretazione Astronomica e Astrologica: Oltre a indicare l’ora, il quadrante offre una visione affascinante del cosmo, con sezioni rotanti che rappresentano la Luna, il Sole e lo Zodiaco. Questo permetteva una lettura non solo del tempo, ma anche delle fasi lunari e delle condizioni astronomiche, considerate importanti per interpretare la propiziità delle attività umane e dei rapporti interpersonali.

Il quadrante dell’orologio sulla Torre dell’Orologio di Brescia non è solo un elemento funzionale, ma anche un’opera d’arte che testimonia la complessità e la bellezza dell’astronomia e dell’ingegneria rinascimentale.

Tone e Batista, noti come I Macs de le Ure

Tone e BatIsta: Gli Automi della Torre dell’Orologio

Tra le caratteristiche più emblematiche della Torre dell’Orologio di Brescia si trovano i due affascinanti automi in rame, conosciuti affettuosamente come Tone e Batista, ma più comunemente noti come i “Macc de le ure“.

Personaggi Iconici: Tone e Batista sono diventati veri e propri simboli della città di Brescia nel corso dei secoli. Questi due automi, rappresentanti due uomini dotati di martello, hanno affascinato e intrattenuto generazioni di cittadini e visitatori con il loro compito di battere i rintocchi orari sulla campana della torre.

Storia e Leggenda: La storia di Tone e Batista è avvolta nella leggenda e nel folklore bresciano. Sebbene le loro origini esatte siano incerte, si sa che sono stati installati con la campana nel 1581 e che da allora hanno continuato a svolgere fedelmente il loro compito di segnare il trascorrere delle ore nella piazza.

Ispirazione Artistica: Oltre a essere una presenza funzionale, Tone e Batista hanno ispirato opere letterarie, dibattiti pubblici e persino giornali locali nel corso dei secoli. La loro presenza sulla Torre dell’Orologio aggiunge un tocco di magia e poesia al panorama urbano di Brescia.

Affetto della Comunità: La comunità bresciana ha dimostrato nel tempo un profondo affetto per Tone e Batista, celebrandoli nelle tradizioni locali e nei racconti popolari. Nel 1974 a seguito dell’esplosione avvenuta nell’attentato di Piazza della Loggia il loro meccanismo di funzionamento si è fermato, e solo nel 1980 dopo un restauro sono tornati a battere le ore. 

Tone e Batista sono molto più di semplici automi: sono custodi del tempo e custodi della memoria di Brescia, incarnando lo spirito unico e affascinante di questa città storica. La loro presenza sulla Torre dell’Orologio continua a suscitare meraviglia e ammirazione, rendendo la visita a questo monumento ancora più memorabile per residenti e visitatori.

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Monumenti e Piazze

Strada del Soccorso del Castello di Brescia

Brescia

STRADA DEL SOCCORSO
CASTELLO DI BRESCIA

LA STRADA DEL SOCCORSO

Dove si trova

La Strada del Soccorso unisce Via Pusterla con il Castello di Brescia e il suo ingresso si trova a pochi minuti a piedi dal centro storico della città.

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STORIA

La storia della “strada del soccorso” a Brescia è certamente ricca di eventi tragici e ironici. Questo percorso, pensato in origine per portare soccorso ai soldati del castello in caso di assedio, ha invece visto il suo nome diventare ironico per i bresciani in due occasioni cruciali della storia della città.

Nel 1512, durante l’assedio condotto da Gastone di Foix, nipote del re Luigi XII di Francia, la strada del soccorso fu utilizzata contro la città stessa. Gastone di Foix ingannò i difensori della città per conquistare il castello e, una volta dentro, mise a ferro e fuoco le strade, le case e le chiese di Brescia, portando distruzione anziché soccorso.

Anche durante l’assedio del 1849, la “strada del soccorso” fu sfruttata dai nemici della città. Mentre i bresciani si battevano eroicamente durante le Dieci Giornate contro gli austriaci, il generale Haynau, con l’inganno e la presunta complicità di traditori locali, riuscì a raggiungere la guarnigione austriaca nel castello attraverso questa via. Questo permetteva agli austriaci di continuare il loro attacco contro la città, nonostante la resistenza eroica dei bresciani.

Caratteristiche

Oggi, la Strada del Soccorso rappresenta non solo un importante sito storico, ma anche un suggestivo percorso che offre ai visitatori l’opportunità di esplorare la storia e l’architettura del Castello di Brescia. Con i suoi 210 metri di lunghezza, di cui quasi 60 in galleria sotterranea, e i 50 metri di dislivello, questo percorso offre un’esperienza unica che collega il Giardino Botanico della Montagnola al Piazzale della Locomotiva all’interno del castello.

la galleria

La galleria della Strada del Soccorso

UNA MERAVIGLIA TECNICA E ARCHITETTONICA

La Strada del Soccorso rappresenta davvero una meraviglia storica di Brescia, testimoniando la maestria architettonica e l’ingegnosità militare dei suoi costruttori nel XV secolo, la famiglia Visconti. Questo percorso, concepito per garantire un collegamento vitale con il Castello in caso di necessità, riveste un ruolo fondamentale nella storia della città.

La struttura della Strada del Soccorso presenta un interessante contrasto tra il tratto inferiore, una lunga scalinata a cielo aperto, e quello superiore, che procede in galleria con soffitto a volta di altezza variabile. Questa disposizione permetteva un accesso più sicuro e discreto al Castello, offrendo protezione agli abitanti durante le emergenze.

La presenza di un doppio ponte levatoio rendeva praticamente inaccessibile la Strada del Soccorso agli invasori, dimostrando l’attenzione alla difesa e alla sicurezza dei difensori del Castello. Tuttavia, nonostante le sue misure di protezione, la Strada del Soccorso è stata teatro di sanguinose battaglie nel corso della storia di Brescia.

Il tratto inferiore e la lunga scalinata in trincea

Il giardino della Montagnola

Ai piedi della Strada del Soccorso si trova si trova il Giardino della Montagnola, che di fatto ne rappresenta il tratto iniziale da Via Pusterla, al Bastione dove inizia la Strada del Soccorso vera e propria. Un incantevole giardino botanico accessibile al pubblico. All’interno dei circa 12000 mq del parco, sono stati ricreati gli ambienti tipici delle colline circostanti, offrendo ai visitatori una varietà di paesaggi naturali da esplorare. Tra prati, macchie boschive, zone umide e pietraie, gli ospiti possono immergersi nella bellezza della natura e scoprire una vasta gamma di piante autoctone.

Tra le specie presenti nel giardino botanico, spiccano il castagno, il carpino bianco, il carpino nero e la quercia, che conferiscono al parco un’atmosfera tipica delle colline bresciane. Il ruscello che attraversa il castagneto contribuisce al mantenimento di un microclima fresco e umido, favorendo la crescita delle felci e creando un ambiente ideale per il riposo e il relax.

Il pendio a nord-ovest della Montagnola, ai piedi del Bastione del Soccorso, ospita una varietà di ginepri, arricchendo ulteriormente la diversità vegetale del parco. Complessivamente, sono stati piantati 175 alberi ad alto fusto, circa 300 cespugli e oltre 3000 piante erbacee, creando così un ambiente ricco di vita e di colori.

il giardino

Il Giardino della Montagnola

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Orario

dalle 8 alle 20

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Luoghi DI BRESCIA

Dall’alto di Piazza Loggia da secoli Tone e Batista scandiscono le ore dei Bresciani

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Monumenti e Piazze

San Faustino in Riposo – La Chiesa che sembra un trullo

Brescia

SAN FAUSTINO IN RIPOSO

LA CHIESA DI SAN FAUSTINO IN RIPOSO

Dove si trova

La chiesa di San Faustino in Riposo si trova a Brescia in Via Porta Bruciata, la stradina che, guardando l’orologio di piazza Loggia, sale alla sinistra passando sotto l’omonima porta. L’ingresso è una porticina piccola sulla sinistra

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L'ingresso di San Faustino in Riposo

L'ingresso della Chiesa di San Faustino in Riposo

Scorcio suggestivo

Costruito nel XII secolo come santuario votivo, S. Faustino in Riposo ( nota anche come chiesa di Santa Rita) ha una forma esterna caratteristica a cono. Il vicoletto che mostra l’esterno dell’edificio offre uno dei numerosi e affascinanti angoli della Brescia medievale, spesso poco conosciuti ma sempre meravigliosi da scoprire.

Tra storia e leggenda

La struttura originaria dell’edificio risale all’VIII-IX secolo, quando una primitiva cappella (a sua volta costruita sui resti di un tempio romano dedicato a Diana) occupava il sito. Nel XII secolo, l’edificio fu distrutto da un incendio e successivamente ricostruito come il santuario che vediamo oggi. 

Il nome “in Riposo” deriva dalla leggenda che i corpi dei santi Faustino e Giovita, durante il loro trasferimento dalla chiesa di San Faustino ad Sanguinem a quella di San Faustino Maggiore, abbiano sostato temporaneamente qui, dove si dice abbiano miracolosamente trasudato sangue, convertendo il duca Namo di Baviera. Sempre secondo la leggenda, durante la traslazione avvennero due miracoli: la guarigione di uno storpio e di un nobile.

Dopo questi eventi, il duca (di cui mai si è confermata l’esistenza storica) donò le reliquie della Vera Croce all’abate di San Faustino, ora conservate nel Duomo Vecchio. L’interno del santuario fu completamente ristrutturato tra il Settecento e l’Ottocento.

 
l'esterno della chiesa e la sua forma a trullo

La Chiesa vista dall'esterno con la sua tipica forma a "Trullo"

Esterno

S. Faustino in Riposo è una chiesa con un’architettura misteriosa e unica, situata presso Porta Bruciata, a Brescia. L’accesso avviene dal portico della porta sul lato nord, con una porta comune senza decorazioni. 

Esternamente, la chiesa si presenta come un corpo cilindrico in pietra con contrafforti, sormontato da un tetto a tronco di cono rivestito di mattonelle in cotto e una celletta campanaria con bifore, coronata da un tetto conico. È visibile da uno slargo chiamato Casolte, vicino al lato nord della porta Bruciata, ma è compressa tra edifici residenziali medievali a est e nord, la Porta Bruciata a sud e le ultime mura trecentesche a ovest, rendendola visibile solo dal vicolo che conduceva all’antico accesso.

l'interno della chiesa di San Faustino in riposo

L'interno della Chiesa di San Faustino in Riposo

Interno

All’interno, con una pianta ovoidale, si trovano otto paraste con semicolonne in pietra, ridotte a sei con la realizzazione dell’attuale abside, che funge da contrafforti per la parte bassa dell’edificio. L’unico altare centrale è decorato da una tela di Domenico Romani raffigurante la Madonna con Gesù e i Santi Faustino e Giovita.

 
interno san Faustino in riposo

L'ingresso e sullo sfondo Santa Rita

Curiosità

La struttura della chiesa di San Faustino in Riposo presenta uno stile architettonico distaccato dalla tradizione locale, con influenze che richiamano sia i trulli pugliesi che l’architettura tirolese, conferendo alla chiesa un aspetto unico e affascinante, apprezzato dai turisti e avvolto da una leggenda che ne amplifica il mistero.

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Orario

Dal lunedì al sabato 10-13 15-18

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